Come vi avevo promesso nel post precedente “Incomprensioni e
litigi, i meccanismi del conflitto”, questa volta affronteremo lo scottante
tema dei capricci, per concludere in bellezza la “trilogia” di post sui
conflitti (iniziata con “Facciamo un patto”: una riflessione sulle strategie
per tentare di impostare la relazione con i vostri figli, in modo da evitare il
più possibile il conflitto).
I bambini vivono in una dimensione magica a cavallo fra
realtà e fantasia, in un universo di emozioni contrastanti ed ambivalenti di
cui non hanno piena consapevolezza e dei quali acquisiscono il controllo solo a
mano a mano che crescono. Il capriccio è l’espressione di un disagio, una
fatica, un’insoddisfazione senza nome, che conosciamo bene perché tante volte
assale anche noi adulti,
solo che in genere sappiamo che nome darle, come accoglierla, analizzarla, gestirla.
solo che in genere sappiamo che nome darle, come accoglierla, analizzarla, gestirla.
Di fronte ad un capriccio ricordiamoci anzitutto che i loro
punti fermi siamo noi: gli adulti di riferimento, da cui percepiscono di essere
dipendenti e da cui in gran parte deriva la loro sicurezza. Siamo noi a
trasmettere loro calma, tranquillità, fiducia, oppure paura, ansia, nervosismo…
di fronte
alle situazioni della vita, ma anche alle emozioni positive e negative che nascono al loro interno e si esprimono… come possono!
alle situazioni della vita, ma anche alle emozioni positive e negative che nascono al loro interno e si esprimono… come possono!
Essere consapevoli di quale risposta stiamo realmente dando,
non è così immediato e per questo sarà oggetto del prossimo post. Per il
momento vi invito a riflettere esclusivamente su una situazione tipo: il capriccio.
Immaginiamo che un bambino faccia un capriccio (se avete figli adolescenti,
considerate le loro scenate al pari di un capriccio, perché altro non sono che
una sua evoluzione), intuitivamente potete ben capire che c’è una grande
differenza nel messaggio che gli diamo (che piano piano strutturerà la sua
personalità), se:
a) ci arrabbiamo, gridiamo, lo puniamo, in pratica soffochiamo il suo capriccio, la sua sofferenza, la sua ribellione, la sua espressione di sé, reagendo istintivamente per assonanza alla sua rabbia, senza dagli una possibilità di comprendere il suo stato d’animo ed esprimerlo in modo positivo e trovare una soluzione al suo reale disagio; in più gli insegniamo che le emozioni negative non vanno espresse, che la parte istintiva di sé va repressa;
b) non riuscendo a tollerare la sua rabbia ed aggressività, come nel caso precedente, lo accontentiamo per calmarlo, ma senza andare all’origine dell’emozione negativa che ha generato il capriccio, soffochiamo una possibilità di positiva espressione di sé e gli insegniamo che per ottenere quello che vuole quella è la strada giusta, rendendolo e rendendoci schiavi dei suoi capricci; ciò che è peggio è che rischiamo di passargli il messaggio che il malessere emotivo si cura cercando qualcosa al di fuori di sé, un oggetto (o una persona usata come un oggetto), che appaghi la sua insoddisfazione, così facendo potremmo renderlo un eterno insoddisfatto;
c) ci sforziamo di accogliere il suo disagio e la sua rabbia senza entrare in risonanza con la sua negatività, lo conteniamo (anche sgridandolo), lo calmiamo e cerchiamo di comprendere insieme a lui quale elemento ha scatenato quella reazione, trovando una soluzione di compromesso (anche, in parte, accontentandolo), insegnandogli ad accogliere le emozioni negative, a capirle, a fare pace con se stessi ed il mondo, nella speranza che in futuro riesca a non dover passare attraverso il capriccio o l’espressione della rabbia, che fanno male prima di tutto a lui o lei, ma anche a noi;
a) ci arrabbiamo, gridiamo, lo puniamo, in pratica soffochiamo il suo capriccio, la sua sofferenza, la sua ribellione, la sua espressione di sé, reagendo istintivamente per assonanza alla sua rabbia, senza dagli una possibilità di comprendere il suo stato d’animo ed esprimerlo in modo positivo e trovare una soluzione al suo reale disagio; in più gli insegniamo che le emozioni negative non vanno espresse, che la parte istintiva di sé va repressa;
b) non riuscendo a tollerare la sua rabbia ed aggressività, come nel caso precedente, lo accontentiamo per calmarlo, ma senza andare all’origine dell’emozione negativa che ha generato il capriccio, soffochiamo una possibilità di positiva espressione di sé e gli insegniamo che per ottenere quello che vuole quella è la strada giusta, rendendolo e rendendoci schiavi dei suoi capricci; ciò che è peggio è che rischiamo di passargli il messaggio che il malessere emotivo si cura cercando qualcosa al di fuori di sé, un oggetto (o una persona usata come un oggetto), che appaghi la sua insoddisfazione, così facendo potremmo renderlo un eterno insoddisfatto;
c) ci sforziamo di accogliere il suo disagio e la sua rabbia senza entrare in risonanza con la sua negatività, lo conteniamo (anche sgridandolo), lo calmiamo e cerchiamo di comprendere insieme a lui quale elemento ha scatenato quella reazione, trovando una soluzione di compromesso (anche, in parte, accontentandolo), insegnandogli ad accogliere le emozioni negative, a capirle, a fare pace con se stessi ed il mondo, nella speranza che in futuro riesca a non dover passare attraverso il capriccio o l’espressione della rabbia, che fanno male prima di tutto a lui o lei, ma anche a noi;
ovviamente ci sono anche molte altre possibilità: lo
ignoriamo, lo prendiamo in giro, lo distraiamo, lo piazziamo davanti alla tv o
ai videogiochi… ma se ci pensate bene rientrano comunque in una delle tre
categorie precedenti, sia come reazione che come messaggio di fondo e
insegnamento.
I capricci sono ovviamente di varia natura ed entità,
dovremo comunque confrontarci con ogni caso a sé, ma di fronte al capriccio è
sempre bene che riflettiamo sul reale messaggio che sta dietro alla richiesta
del bambino e che stiamo dando noi con la nostra risposta, sempre in relazione
alla situazione, ma anche al nostro e suo stato d’animo (se siamo in ospedale a
trovare il nonno malato è saggio accontentarlo ed evitare che faccia
confusione, poi riprenderemo il discorso; se siamo esausti e nervosi dopo una
pessima giornata di lavoro, può darsi che sia più saggio comprare quel cavolo
di pacchetto di caramelle, piuttosto che imbarcarci in una discussione in cui
sappiamo che perderemmo la pazienza; se ha la febbre e non vuole staccarsi dai
cartoni, non morirà certo per un pomeriggio passato di fronte alla tv, lo sa
meglio di voi che è un momento particolare!).
Quando vi trovate in una situazione di stallo, nella
gestione di un capriccio che si sta facendo troppo pesante, ma non volete
cedere perché vi rendete conto che il vostro bambino o ragazzo vi sta sfidando
per vedere se si può davvero fidare di voi (sono consapevoli di essere
dipendenti: per sentirsi al sicuro devono saperci forti!), potete provare ad
esercitare la vostra funzione adulta tornando bambini, entrando in quel mondo
di fantasia ai confini della realtà in cui tutto è possibile.
Spiazzateli cambiando gioco!
Quella che vi propongo è una reazione (spesso di gran lunga
la più saggia) che, più che essere complicata, in genere non ci viene in mente.
Quando siamo talmente coinvolti nel braccio di ferro, sentiamo crescere la frustrazione
e la rabbia insieme a quella del nostro interlocutore e ci ritroviamo così
intenti a costruire il nostro muro di difesa, per fare un bel muro contro muro,
non ci accorgiamo di quanto sarebbe più semplice e utile aggirarli
semplicemente tutti e due, il nostro e quello dell’altro, per incontrarci su un
altro piano, in cui il conflitto può essere risolto, talvolta dissolto,
ripartendo da zero. E’ un “trucco” che funziona anche con gli adulti, con loro
è più difficile, ma potete provare!
Vi faccio un esempio concreto, poi mi pacerebbe che postaste
i vostri per aiutare anche chi per fare sua questa strategia, ha bisogno di leggere
più esperienze.
Questo post nasce un pomeriggio di maggio di fronte al
cancello di una scuola. La campanella è suonata da più di un quarto d’ora, i
bambini sono sciamati da tempo per mano ai loro adulti, ma una donna è seduta
sul muretto. Le chiedo se stia aspettando qualcuno. Lei mi risponde indicandomi
una bellissima bambina bionda, che se ne sta immusonita a qualche metro e la
guarda di sottecchi. “E’ mia figlia, si è arrabbiata perché la sorella è andata
in gita e lei no” provo a suggerirle un po’ di strategie, ma le ha davvero
provate tutte. Sento improvvisamente un moto di ammirazione per quella piccola
così determinata e per quella mamma che non riesce a venire fuori dalla
situazione, ma non sceglie di gridare, darle uno sculaccione e trascinarla a
casa, sta lì e aspetta, con pazienza. In questo momento è la bambina ad avere
il controllo della situazione, ha messo in scacco la mamma, lo sa, avere potere
su un adulto è un gioco che farebbe fino a notte fonda. E’ lei che controlla il
gioco, perché la mamma vuole stare a delle regole che si è imposta, sacrosante,
ma che al momento la mettono in scacco, ad aspettare una mossa che potrebbe non
arrivare. Le sorrido e le suggerisco: “CAMBIA GIOCO!”. In che senso? Mi chiede
lei. Non lo so, è il vostro gioco, solo tu puoi cambiare le regole! Lei ci
pensa un po’, poi capisce, si alza e con tutta la calma del mondo dice alla
piccola “Beh, io vado!” la bimba si gira dall’altra parte in un gesto di sfida,
che è segno che l’ha sentita, la mamma parte lentamente ma con determinazione,
senza voltarsi. La bimba si gira a guardarla, aspetta un po’, poi parte,
accelera, rallenta per rimanere indietro di qualche passo, non vuole proprio
dargliela vinta, ha una sua dignità! Le seguo con lo sguardo fino alla fine
della strada, ora la piccola l’ha raggiunta e proprio sull’angolo vedo che si
guardano e si parlano di nuovo. Che bello un capriccio che si risolve così!
E’ molto adulto non permettere che il conflitto abbia la
meglio su di noi, è un ottimo insegnamento lasciare il conflitto in sospeso
ripartendo dalla relazione, rimanendo comunque ognuno nella propria posizione,
per riprendere il filo solo quando ci si sarà calmati (“A volte il silenzio è
un’ottima risposta” vd. Post “Consigli del Dalai Lama”). Superare da una logica
“io vinco, tu perdi”, permette di costruire relazioni in cui si è tutti un po’
vincitori e un po’ vinti, ma soprattutto vincitori, perché insieme si è
sconfitto il conflitto, che fa comunque sempre molto male a tutti.
Nella nostra vita, non solo con i nostri figli, ci capita in
continuazione di rimanere intrappolati in ruoli, aspettative, situazioni,
conflitti… che non ci corrispondono (o per lo meno non più), stando al gioco di
qualcun’altro. La sfida di mezza estate è questa. Proviamo a vedere la vita come un gioco e se
ci sentiamo intrappolati nei “capricci” altrui: CAMBIAMO GIOCO!
Un abbraccio a voi, un bacio ai vostri figli e buona estate,
Federica
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