venerdì 19 ottobre 2012

Inclusione, welfare e tagli: i diritti umani non sono comprimibili!


"L’incipit della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: «Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali in dignità e diritti». E tuttavia Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca, studiosa di teoria della politica scrive: «L’uguaglianza non ci è data, ma è il risultato dell’organizzazione umana nella misura in cui si fa guidare dal principio di giustizia»"


Per un approfondimento di un tema educativo importantissimo come quello dell'INCLUSIONE vi cito alcuni stralci di un articolo che potete trovare in versione integrale:
http://www.superando.it/2012/10/02/leducazione-inclusiva-passare-dalle-parole-ai-fatti/

"Si passi ora al già citato articolo 24, specificamente dedicato all’Educazione.
«24.1. Gli Stati Parti riconoscono il diritto all’istruzione delle persone con disabilità. Allo scopo di realizzare tale diritto senza discriminazioni e su base di pari opportunità, gli Stati Parti garantiscono un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita, finalizzati: (a) al pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità umana; (b) allo sviluppo, da parte delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, sino alle loro massime potenzialità; (c) a porre le persone con disabilità in condizione di partecipare effettivamente a una società libera».
La Convenzione, quindi, non definisce esplicitamente cosa sia un sistema di istruzione inclusivo e tuttavia inclusione non può essere confusa con integrazione. Il concetto di integrazione, infatti, implica che sia la persona ad adattarsi al sistema scolastico e che non siano previsti cambiamenti dell’ambiente, della pedagogia e della organizzazione. Il concetto di inclusione, invece, è più ampio e implica cambiamenti progressivi e adattamenti del sistema, affinché ognuno possa trovare risposta ai suoi bisogni e in esso migliorare.
In altre parole, sistema inclusivo significa che tutti gli alunni e studenti devono essere trattati con

rispetto e che vanno garantite a tutti le pari opportunità di apprendimento. Si tratta di un processo che non dipende solo dal sistema scolastico, ma che vede implicati diversi altri attori i quali hanno responsabilità di politica sociale, sanitaria e riabilitativa, economica e amministrativa, con la comune convinzione che sia responsabilità del sistema educare tutti gli alunni e gli studenti e metterli in condizione di apprendere.
«24.2. Nell’attuazione di tale diritto, gli Stati Parti devono assicurare che: (a) le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale in ragione della disabilità e che i minori con disabilità non siano esclusi in ragione della disabilità da una istruzione primaria gratuita libera ed obbligatoria o dall’istruzione secondaria; (b) le persone con disabilità possano accedere su base di uguaglianza con gli altri, all’interno delle comunità in cui vivono, ad un’istruzione primaria, di qualità e libera ed all’istruzione secondaria; (c) venga fornito un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno; (d) le persone con disabilità ricevano il sostegno necessario, all’interno del sistema educativo generale, al fine di agevolare la loro effettiva istruzione; (e) siano fornite efficaci misure di sostegno personalizzato in ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione, conformemente all’obiettivo della piena integrazione».
Questa parte dell’articolo 24 risente del fatto che a livello mondiale esistono discriminazioni all’accesso. Discriminazioni all’interno di legislazioni, e pratiche che considerano normale l’esclusione, che considerano “ineducabili” gli allievi con disabilità, che istituiscono specifiche commissioni le quali decidono chi escludere, come escludere e dove escludere. Paesi, infine, in cui non sono chiari i metodi di classificazione, di identificazione e di valutazione dei bambini con disabilità e Paesi che finanziano separatamente il sistema scolastico speciale e ordinario oppure ancora Paesi che non finanziano alcun sistema scolastico.
Per l’Italia, tale formulazione è alquanto disorientante, poiché – com’è ben noto – il nostro sistema prevede già l’applicazione, ancor prima della ratifica della Convenzione, delle misure contenute in questa parte e in quella precedente dell’articolo 24, e in linea con il comma 4 dell’articolo 4.
«24.3. Gli Stati Parti offrono alle persone con disabilità la possibilità di acquisire le competenze pratiche e sociali necessarie in modo da facilitare la loro piena ed uguale partecipazione al sistema di istruzione ed alla vita della comunità. A questo scopo, gli Stati Parti adottano misure adeguate, in particolare al fine di: (a) agevolare l’apprendimento del Braille, della scrittura alternativa, delle modalità, mezzi, forme e sistemi di comunicazione aumentativi ed alternativi, delle capacità di orientamento e di mobilità ed agevolare il sostegno tra pari ed attraverso un mentore; (b) agevolare l’apprendimento della lingua dei segni e la promozione dell’identità linguistica della comunità dei sordi; (c) garantire che le persone cieche, sorde o sordocieche, ed in particolare i minori, ricevano un’istruzione impartita nei linguaggi, nelle modalità e con i mezzi di comunicazione più adeguati per ciascuno ed in ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione».
Questa parte dell’articolo 24 indica che l’educazione dev’essere vista come un processo globale che includa sia lo sviluppo delle competenze accademiche che quello delle competenze sociali e di vita quotidiane. Viene in particolare fortemente sottolineata la necessità di fornire un adeguato sostegno allo studente e una particolare attenzione alle strategie comunicative, le uniche che permettono la partecipazione dello studente con disabilità.
Alla luce di quanto sostenuto precedentemente, l’azione delle Amministrazioni Provinciali – quali strutture e autorità pubbliche locali – viene chiamata ad assicurare agli alunni e agli studenti con disabilità sensoriali i supporti, gli strumenti e le risorse adeguate ai loro bisogni educativi e di inclusione, all’insegna di una nuova cultura sulla disabilità, basata appunto sui diritti umani e sulla Convenzione ONU.
Riprendendo per altro a piene mani un recente articolo di Giampiero Griffo, pubblicato anch’esso da Superando.it [“La crisi mondiale e le politiche di inclusione: i servizi di sostegno”, N.d.R.], bisogna ricordare che lo scenario di oggi è determinato dalla crisi economica mondiale, con il rischio, per le persone con disabilità, di tornare ad essere “cittadini invisibili”, perché pare che il dato economico sia prevalente sul rispetto dei diritti umani, pur essendo, ad esempio, il diritto all’educazione costituzionalmente garantito.
La risposta delle Amministrazioni Pubbliche alla tutela dei diritti è insomma squisitamente economica e legata al risparmio. Un risparmio che considera le spese per le politiche di welfare – e nel nostro caso a supporto del sistema scolastico – improduttive e quindi da ridurre, portando all’esclusione, alla valutazione negativa della persona, al rifiuto della parità di condizione, alla negazione dell’appartenenza e alla cancellazione dell’altro come persona titolare di diritti umani.
La Convenzione ONU, invece, propone una nuova idea di giustizia, fondata sulla rimozione degli
ostacoli e delle discriminazioni, sul sostegno appropriato alle persone,
su servizi e benefìci finalizzati all’inclusione. Essa considera le persone con disabilità come parte della società e quindi beneficiarie di tutte le politiche e i programmi. Ciò significa che le risorse – prima destinate ai “Cittadini di serie A”, ai quali si aggiungevano nei periodi di “vacche grasse” risorse aggiuntive per le persone con disabilità (e per altre fasce sociali “vulnerabili”) – dovranno essere utilizzate per tutti i Cittadini.
Stiamo pertanto pagando l’idea che le politiche di welfare siano un “lusso” e in questi ultimi anni – nonostante la Convenzione ONU – anche gli Stati che l’hanno ratificata hanno “schizofrenicamente” ridotto gli interventi a favore delle persone con disabilità.

In altre parole, i fondi per gli interventi sociali sono considerati “elastici”, quasi fossero “interventi caritativi”. Il riconoscimento delle responsabilità della società che crea condizioni di disabilità deve invece far cambiare anche il modello di giustizia e di motivazione dei vari interventi di sostegno, che vanno legati al conseguimento di condizioni di uguaglianza e non discriminazione – quindi di tutela dei diritti umani – come appunto afferma la Convenzione. Essi, in conclusione, non devono essere interventi soggetti a flessibilità delle risorse, poiché i diritti umani non sono comprimibili, a maggior ragione se responsabili del rispetto di essi sono le politiche pubbliche.
Hannah ArendtL’incipit della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: «Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali in dignità e diritti». E tuttavia Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca, studiosa di teoria della politica scrive: «L’uguaglianza non ci è data, ma è il risultato dell’organizzazione umana nella misura in cui si fa guidare dal principio di giustizia» (Le origini del totalitarismo, 1951). E aggiungo che non dev’essere mai guidata da una certa domanda rivolta allo studente con disabilità, ovvero: «Ma quanto ci costi?»." (L. Bosisio Fazzi)

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